La blue economy è il pilastro su cui è appoggiata gran parte dell’economia del mare. Si attesta attorno ai 53 mld di PIL il valore aggiunto generato da questa filiera. Un numero che non esprime però tutte le potenzialità del settore il cui interscambio marittimo vale 350 miliardi di euro.
Sono cifre che misurano e mettono in evidenza l’importanza strategica dell’industria marittima italiana. Resta però da recuperare un gap significativo di competitività tra il nostro Paese e i competitor europei ed asiatici.
E’ questo, in estrema sintesi, il messaggio che il direttore generale di SRM, Massimo Deandreis, ha consegnato alla qualificata platea di esperti e stakeholder del mondo dello shipping, riunitisi domenica a Livorno, a bordo della nave Grimaldi Cruise Sardegna, in occasione del forum dedicato alla blue economy “Oltre il mare”. Un evento organizzato dal Gruppo Sae, editore dei quotidiani Il Tirreno, La Nuova Sardegna, La Nuova Ferrara, Gazzetta di Reggio e Gazzetta di Modena.
«E’ indubbio che la competitività della blu economy ha profonde ricadute sulla competitività del settore manifatturiero» ha affermato Deandreis.
«Se andiamo ad osservare gli indici di competitività, l’Italia rimane però indietro rispetto ai principali competitor europei, come la Germania, ed asiatici, come Singapore» ha aggiunto, ricordando come, sulla base del Liner Shipping Connectivity Index elaborato dall’Unctad, il nostro Paese sia al 15esimo posto della classifica dei paesi più interconnessi al mondo da linee di trasporto marittimo di container. Mentre si trova in diciannovesima posizione nella classifica dei paesi con le maggiori capacità logistiche e di trasporto internazionale, sulla base dei risultati pubblicati dalla settima edizione del Logistics Performance Index elaborato dalla World Bank.
A dispetto delle criticità emerse, il dg del Centro Studi di Banca Intesa San Paolo ha però evidenziato come l’Italia si trovi oggi nella condizione di poter acquisire una posizione di vantaggio competitivo grazie alla progressiva regionalizzazione della globalizzazione economica.
Che il Mediterraneo abbia oggi una centralità strategica, è cosa ormai nota. Bastano due numeri fra tutti a dare il quadro della situazione: «Se mettiamo assieme il PIL europeo e quello dei Paesi della sponda sud del Mediterraneo, arriviamo a generare un valore che si aggira attorno ai 24 trilioni di dollari. Gli Stati Uniti hanno un PIL di 25 trilioni di dollari mentre la Cina viaggia su valori significativamente più bassi» ha fatto osservare Deandreis. «Il Mare Nostrum visto con gli occhi di un asiatico ha chiaramente una vitale importanza per il transito dei commerci internazionali: d’altronde rappresenta l’unica via di accesso alla costa atlantica degli USA, anche perché la circumanavigazione dell’Africa rimane un’alternativa troppo costosa».
I processi di nearshoring e reshoring, ovvero di parziale accorciamento di alcune catene del valore, stanno chiaramente rafforzando la posizione strategica dei Paesi che si affacciano su questo mare, tra cui l’Italia. Ma restano da superare alcune fragilità infrastrutturali che fino ad oggi hanno tarpato le ali al Paese, tra le quali la mancanza di connessioni ferroviarie e viarie efficienti per l’inoltro della merce verso i mercati del centro e nord Europa.
Per Deandreis, le risorse messe in campo con il PNRR sono molte: «Sul piatto ci sono contributi importanti direttamente attribuibili al rafforzamento della competitività dei porti e retroporti italiani. Il tema vero non è quello di trovare altre risorse ma di arrivare ad avviare o completare le opere infrastrutturali strategiche, come quelle ferroviarie di ultimo miglio e quelle collegate al tema della digitalizzazione» è stato il suo commento. «La diga foranea di Genova è fondamentale, così come alcune opere programmate nel porto di Palermo, la cosa importante è realizzarle nei tempi previsti perché questo è l’unico modo per migliorare gli indici di competitività».
Durante il forum, era stato Gaetano Fausto Esposito, del Centro Studi Camere di Commercio “G. Tagliacarne”, a ribadire come il settore marittimo sia la spina dorsale dell’economia italiana. Non soltanto produce un valore aggiunto di 53 miliardi ma ne attiva altri 90,3 miliardi nel resto dell’economia. Il settore ha una evidente capacità moltiplicativa di “fare filiera”, arrivando a generare complessivamente 142,7 miliardi di euro, l’8,9% dell’intera economia nazionale.
In linea generale, per ogni euro investito nel settore se ne generano 1,7 in altri settori. Il settore con il maggiore effetto moltiplicatore è la logistica: per ogni euro investito nel settore se ne generano 2,7 in altri ambiti dell’economia. Al secondo e terzo posto la filiera della cantieristica/nautica e quella del turismo.
Se queste sono le premesse, per il direttore di SRM è fondamentale dotare il Paese di una dotazione infrastrutturale, tecnologica e logistica, efficace: «L’efficienza di un porto è data dalla sua abilitazione infrastrutturale e viaria. Un porto vale nella misura in cui riesce a diventare il punto di arrivo per raggiungere la più vasta comunità di operatori industriali» ha concluso.
Il Rapporto 2023 di SRM si presenta in un’edizione speciale che racconta gli ultimi dieci anni di fenomeni, trend e dinamiche che hanno caratterizzato il settore dei trasporti marittimi e della logistica.
Abbiamo dunque voluto, con questa chiave di lettura, razionalizzare i principali accadimenti che hanno impattato su un comparto che rappresenta un grande asset per il Paese: da quelli che ne hanno stravolto gli equilibri — crisi energetica, aumento dei prezzi delle materie prime, pandemia, guerra — fino alle evoluzioni delle rotte navali e alle nuove sfide e opportunità a cui rivolgere attenzione come la digitalizzazione, la sostenibilità, gli investimenti del PNRR e lo sviluppo del Canale di Suez.
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