23
Gen
2025
Rassegna stampa

MATERIA RINNOVABILE | Un pianeta in esaurimento: materie prime critiche fra geopolitica e innovazione

La fame di materia del mondo non fa che crescere, ed è, accanto allo sviluppo dell’ambiente costruito, lo stesso progresso tecnologico ad alimentarla. Ma il pianeta ha dei limiti, e i materiali, critici o no, non sono infiniti.

Di questo si è ragionato il 21 gennaio, in occasione del convegno Un pianeta in esaurimento, organizzato dalla piattaforma Prometeo Tech Cultures del Politecnico di Torino e dall'Associazione CAReGIVER, gruppo di tecnici e ricercatori del settore automotive piemontese, e moderato da Raffaello Porro.
Fra transizione energetica, elettrificazione dei trasporti e rivoluzione digitale, alcuni materiali critici cominciano a diventare scarsi o problematici dal punto di vista delle catene di approvvigionamento. Servono dunque soluzioni che provengano dalla politica, dalla ricerca e dall’innovazione, e naturalmente, dall’economia circolare. Durante il convegno di Torino ne sono state messe sul tavolo alcune. 

Geopolitica dell’energia

Il problema principale dell’Italia, come è stato sottolineato più volte durante il convegno, è infatti il suo alto grado di dipendenza dall’importazione di fonti energetiche dall’estero.
A questo proposito, Massimo Deandreis, direttore del centro studi SRM sull’area mediterranea, ha mostrato una illuminante mappa delle dipendenze energetiche globali. L’Unione Europea ha un grado di dipendenza del 58%, e, fra i paesi UE, l’Italia è quello con la situazione più preoccupante, con una dipendenza del 74,8% . Ma, ha precisato Deandreis, “il nostro è un Paese manifatturiero, e gran parte dell’energia serve all’industria del Made in Italy”. Completamente autosufficienti dal punto di vista dell’approvvigionamento energetico sono invece gli Stati Uniti, mentre la Cina ha un grado di dipendenza dall’estero del 20%.

“Con la guerra in Ucraina – ha spiegato Deandreis – la mappa geopolitica delle dipendenze si è modificata: se prima l’Europa importava buona parte del gas dalla Russia, ora è tornata ad essere centrale l’area del mediterraneo, e il gas russo è stato sostituito da quello algerino”.
“Non possiamo però, noi europei, continuare a guardare alla regione mediterraneo solo per l’approvvigionamento di fonti fossili – ha aggiunto – Dobbiamo cominciare a includere nel dialogo energetico del Mediterraneo anche la produzione di energia da rinnovabili, costruendo partnership con paesi del Nord Africa dove si possono sviluppare significative produzioni da eolico e fotovoltaico, ma anche, in una logica power-to-gas, di idrogeno verde”.

Anche dal punto di vista della cooperazione allo sviluppo, le rinnovabili sarebbero meglio del mero acquisto di gas e petrolio da paesi terzi: se i soldi delle fossili hanno infatti buone probabilità di finire nelle mani di oligarchi o signori della guerra, costruire infrastrutture per le energie rinnovabili porta invece lavoro, tecnologia, formazione nei paesi destinatari.

Inoltre, aggiunge Deandreis, sarebbe un vantaggio per l’Europa. “È infatti improbabile che l’UE raggiunga gli obiettivi di decarbonizzazione solo con la propria capacità rinnovabile interna, e avrà quindi bisogno di importare FER dal Nord Africa”. In quest’area c’è un grande potenziale non ancora sfruttato: se si guarda alla capacità rinnovabile della regione mediterranea, infatti, solo il 2,8% del fotovoltaico e solo il 4,25 dell’eolico è installato sulla sua costa meridionale del Mediterraneo.

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