12
Ott
2017
Comunicati Stampa

Le risorse idriche nell’ambito della circular economy | Scarica il rapporto

cop_idricoNell’ambito del IV Festival dell’Acqua organizzato da UTILITALIA, la Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo e SRM hanno presentato il rapporto 2017 “Le risorse idriche nell’ambito della circular economy“ che fa il punto sullo stato dei servizi idrici nel Sud del nostro Paese, le peculiarità territoriali, i trend in atto e le strategie per un rilancio del settore. Scarica il Rapporto e la relazione al convegno Leggi la Nota di Utilitalia Consulta la Rassegna Stampa ****

SINTESI DEL RAPPORTO

L’estate 2017 ha evidenziato la necessità di interventi urgenti in un settore che da tempo reclama un nuovo approccio gestionale e infrastrutturale. In prospettiva, i cambiamenti climatici aggraveranno ulteriormente le problematiche di carenza idrica e siccità; le previsioni al 2040 indicano per l’Italia una situazione di stress alto. E’ già elevato e superiore alla media OCSE il tasso di prelievo lordo italiano. La European Environment Agency (EEA) stima per il nostro Paese un indicatore di sfruttamento idrico (WEI) pari al 24%, fra i più elevati nel contesto europeo. L’Italia è in quarta posizione dopo Cipro, che registra un WEI pari al 64%, Belgio (32%) e Spagna (30%). La disponibilità di risorse idriche è strettamente connessa alla vita, alla salute, allo sviluppo industriale, turistico ed agricolo di un territorio. Nonostante la scarsità di risorsa, in Italia si continua ad utilizzare molta acqua (forse troppa) e a disperderne una quantità ingente (il 45,3% dell’acqua prelevata per usi civili non arriva nelle abitazioni):
  • Per ciascun euro di produzione industriale realizzata sono necessari circa 9 litri di acqua;
  • il volume medio d’acqua usato per irrigare un ettaro di terreno destinato alla coltivazione è pari a 4,7 mila metri cubi, ricordiamo che il settore agricolo è il più grande utilizzatore di acqua sia a scopi irrigui che zootecnici;
  • il consumo medio per abitante è di 241 litri annui, 12 litri al giorno in meno rispetto all’ultimo dato del 2008. Nonostante la flessione, l’Italia si conferma al primo posto in Europa per consumo d'acqua pro-capite. Il consumo medio pro-capite in Nord Europa è di180-190 litri;
  • Con riferimento agli sprechi, la situazione è in peggioramento. Nel 2015 è stato disperso il 38,2%
dell’acqua immessa nelle reti di distribuzione. Rispetto al 2012 le perdite di rete, già elevatissime, mostrano un’ulteriore crescita;
  • La qualità del servizio è, in molte aree del Paese, bassa. A livello aggregato nel 2016 il 9,4% delle
famiglie ha lamentato irregolarità nell’erogazione dell’acqua. Nel Mezzogiorno la situazione risulta decisamente critica a causa di una minore disponibilità naturale, di una elevata concentrazione delle precipitazioni in alcuni periodi dell’anno e di una conformazione idrogeologica del tutto particolare. Il comparto civile continua a sprecare tanta acqua: i capoluoghi di provincia localizzati nel Mezzogiorno realizzano complessivamente una perdita del 47%, che si confronta con il 34% del Centro-Nord. Inoltre, se a livello nazionale nel 2016 il 9,4% delle famiglie ha lamentato irregolarità nell’erogazione dell’acqua, in Calabria e in Sicilia il giudizio sul servizio idrico è negativo per una famiglia su tre. A ciò si aggiunge la forte vocazione agricola e la rilevanza di alcuni comparti del manifatturiero che espongono l’economia del Sud ad una maggiore vulnerabilità a situazioni di stress idrico. Le opportunità di sviluppo del settore turistico dipendono anche dalla qualità delle acque di balneazione. Ma 816 delle 1.166 procedure di infrazione per il servizio di depurazione  ha riguardato comuni del Sud. Il mancato trattamento dei reflui ha effetti nocivi sulla salute dell’uomo, ha impatti negativi sull’ambiente e sulle attività economiche. Una relazione sostenibile tra la gestione dei reflui e la qualità delle acque marine è una delle chiavi del successo dello sviluppo turistico nelle zone marittime. Per mitigare lo stress idrico e conseguire un servizio adeguato è necessario intervenire su più fronti: la chiusura del cerchio e l’adozione di politiche volte alla prevenzione, alla depurazione, al riuso e al riutilizzo, proprie della circular economy, rappresentano un passaggio importante che deve affiancarsi (e in parte sovrapporsi rimodulandolo) all’adeguamento infrastrutturale e all’efficientamento gestionale. Le riforme degli ultimi 25 anni avrebbero dovuto portare all’industrializzazione e all’adeguamento infrastrutturale del settore, a diversi elementi hanno concorso a rallentare il processo:
  • Incertezza normativa.
  • Frammentazione dei gestori e dimensioni modeste.
  • Vincoli sulla finanza pubblica.
  • Tariffe inadeguate.
  • Regole non condivise e contenzioso.
Lo stato di attuazione delle riforme e i risultati sono molto diversificati a livello territoriale. In riferimento all’assetto gestionale emergono le seguenti caratteristiche:
  • Negli ultimi 20 anni il numero di operatori si è ridotto ed è cresciuta la rilevanza di operatori industriali, ma circa un quarto del totale dei Comuni italiani continua a essere gestito in economia.
  • Le gestioni industriali servono l’88% della popolazione per il servizio di acquedotto, l’82% per il servizio di fognatura e il 90% per la depurazione. Le differenze territoriali sono significative a conferma dei diversi modelli regionali adottati.
  • Gli operatori industriali sono ancora numerosi e molti servono un bacino molto limitato di residenti. Nel servizio di acquedotto sono operativi 270 operatori, che servono circa 53 milioni di residenti, operando in poco meno di 6.000 Comuni.
  • Nonostante l’elevata numerosità dei gestori ancora presenti, i primi 10 operatori per fase del ciclo idrico rappresentano più del 40% della popolazione servita da gestori industriali.
I risultati economico finanziari del triennio 2013-2015 su un campione di 184 gestori industriali mostrano una performance nel complesso soddisfacente e in generale migliore di quanto realizzato in altri comparti: le imprese mostrano una crescente attenzione all’efficienza. L’EBITDA si attesta a livello mediano al 22,7% del fatturato, il margine netto è pari all’8,9%. Anche la redditività si consolida. Le imprese di maggiori dimensioni risultano in genere le meglio attrezzate a cogliere le opportunità che il mercato offre e mostrano migliori performance economico-finanziarie. I dati di bilancio segnalano una ripresa degli investimenti nel triennio. Nel 2015 a livello mediano le imprese investono il 9,3% del proprio fatturato. Rilevanti risultano essere gli assetti proprietari e la dimensione: le imprese che investono di più sono quelle a capitale misto, seguono le imprese pubbliche e quindi le imprese private e le imprese di maggiori dimensioni. In riferimento al sistema di offerta meridionale, le statistiche e i dati di bilancio mostrano il significativo divario territoriale che caratterizza le realtà industriali del Sud, più piccole e meno dinamiche, rispetto alle imprese che operano nelle altre aree del Paese. Tuttavia è interessante notare nell’ultimo triennio dei miglioramenti sia in termini di redditività (EBITDA su fatturato) che di investimenti. Dall’analisi del sistema infrastrutturale emerge che il settore idrico italiano soffre di un forte gap, un ritardo legato ad oltre venti anni di inerzia. È ancora caratterizzato da una scarsa modernizzazione delle infrastrutture in una consistente parte del territorio. Il fabbisogno di investimenti da realizzare affinché il settore diventi efficiente nell’arco di qualche decennio è stimato in almeno 65 miliardi di euro. Oltre 25 miliardi di euro nei primi 5 anni (pari a circa 83 €/abitante per anno). Più del 35% per il solo Mezzogiorno (pari a poco meno di 9 miliardi di €). Una prima ripresa degli investimenti collegata al nuovo regime tariffario c’è stata ma gli investimenti programmati si scontrano con una ancora inadeguata rappresentazione del reale fabbisogno. La programmazione di lungo termine appare spesso poco coerente con le reali necessità perché sconta ancora molte delle contraddizioni del passato, tra cui la volontà di contenere gli incrementi tariffari e per non interferire con il già precario equilibrio economico finanziario di molte gestioni. L’effettivo fabbisogno sarebbe tre volte superiore alla spesa programmata. Nel Mezzogiorno il maggiore numero di gestioni in economia manifestano un’inclinazione alla spesa per le infrastrutture inferiore rispetto alle gestioni industriali. Il mancato compimento delle opere programmate nel Mezzogiorno può essere in parte ricondotto anche all’incapacità di spendere i fondi europei. Nonostante il 72% del finanziamento totale nell’ambito delle Politiche di Coesione sia destinato al Sud, si rileva proprio in quest’area la maggiore lentezza nell’attuazione del S.I.I. e un gap infrastrutturale che ha comportato negli ultimi anni anche l’avvio di un contenzioso con la Commissione Europea. Le risorse pubbliche dovrebbero rappresentare un sistema secondario di finanziamento delle opere idriche, da affiancare alla tariffa; è necessario, invece, evidenziare che esso costituisce un importante supporto per colmare il deficit infrastrutturale del settore, soprattutto in alcune aree del Paese, dove gli attuali livelli tariffari non sono ancora in grado di garantire l’accesso al credito per realizzare gli investimenti necessari. Emerge, quindi, un gap dimensionale e di redditività che può essere ridotto solo con gli opportuni investimenti. In particolare, il divario tra il fabbisogno di opere e quelle effettivamente programmate è oggi di quasi 3 miliardi di euro all’anno in Italia e di circa un miliardo di euro al Sud. Per il futuro è importante muoversi su un doppio binario che alla necessità di investimenti affianca una nuova consapevolezza dell’importanza della risorsa idrica:  è necessario formare i cittadini,  renderli  consapevoli  del «valore dell’acqua» e  gestirla correttamente  (in tutte le sue fasi). Partendo da ciò, si deve puntare sugli investimenti, rilevanti per la crescita del nostro territorio; investire nel sistema idrico nel Mezzogiorno ha, infatti, un impatto significativo sullo sviluppo economico, stimato pari ad una crescita dello 0,5% di Pil l’anno.      
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