SRM presenta la sedicesima edizione dei “Quaderni di Economia Sociale”, la pubblicazione semestrale realizzata in collaborazione con la Fondazione con il Sud che raccoglie diversi ed interessanti approfondimenti sulla dimensione sociale della nostra società, dando spazio e visibilità alle tematiche sempre attuali e di interesse per la comunità.
In questo numero grande attenzione viene data al ruolo che l’economia sociale ha avuto durante l’emergenza sanitaria e soprattutto a quello che avrà nella ripartenza del Paese.
La crisi, per quanto inattesa e dirompente, ha fatto emergere una serie di ritardi, di inefficienze, di fragilità dell’organizzazione complessiva della società e dell’economia del nostro Paese, ma più in generale del modello capitalista e suggerisce l’opportunità di costruire fin da subito una ‘rete di protezione’ in grado di intercettare le aree più critiche di disagio socio-economico e di delineare scenari di ripartenza che non devono affatto mirare ad un ritorno alla situazione precedente.
Tutto ciò comporterà l’approntamento di originali e innovative policy pubbliche e un ampliamento degli spazi riconosciuti al volontariato e al privato-sociale. Nel corso dell’emergenza Covid-19 il Terzo Settore ha infatti supportato vecchi e nuovi bisogni sociali attraverso azioni di routine, servizi straordinari, riconversione di attività e modalità innovative di erogazione.
Ma, dall’altro canto, il Terzo Settore è destinato ad assumere un’assoluta centralità nella misura in cui, con la forza propulsiva delle sue best practices, sarà in grado di rispondere in modo efficace alle nuove emergenze del quadro socio-economico. Il passaggio del Terzo Settore nella pandemia attualizza una questione aperta da tempo, riguardo lo spontaneismo organizzativo e la poca capacità di fare impresa. Dall’analisi della “capacità d’impresa” degli enti, emerge la pluralità e le molte anime del Terzo Settore, un risultato affatto scontato che mette in discussione la tendenza generalizzata a considerare il non profit un corpo unico, sottovalutando le enormi differenze che attraversano le filiere giuridiche e d’intervento. Una lettura, particolare che potrebbe essere di aiuto nel comprendere come mirare gli interventi e le policy utili a sostenere gli enti non profit nella complessa fase di rilancio post-pandemia.
Certo, qualcosa di nuovo sta maturando a livello più ampio, che si tradurrà in un’occasione di riforma strutturale da non sprecare per l’Italia: si fa riferimento al programma straordinario Next Generation EU, e all’insieme di strumenti e finanziamenti che la Commissione europea sta mettendo in campo, ma l’auspicio è che queste ingenti risorse vengano utilizzate dal nostro Paese non solo per far ripartire l’economia ma anche per irrobustire la coesione sociale. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza potrebbe davvero rappresentare un’opportunità per contrastare i divari sociali, culturali ed economici che affliggono il nostro Paese. I “nodi strutturali”, che il PNRR si propone di colmare, sono la disparità tra Mezzogiorno e Centro Nord, il divario generazionale e le disuguaglianze di genere.
In questa fase, Intesa Sanpaolo gioca un suo ruolo di supporto sia attraverso erogazioni a medio-lungo termine, a supporto del PNRR, e sia con progetti ad impatto sociale che la struttura Iniziative per il Sociale mette in campo, ampliando il proprio spettro di azione e ridefinendo i confini dei propri interventi, adeguandoli e contestualizzandoli all’interno dei nuovi scenari socioeconomici.
Certo, gli effetti sociali della pandemia sono stati rilevanti ed in questo numero ci si sofferma su due in particolare: l’usura ed il rallentamento del processo dell’emancipazione femminile.
In occasione delle celebrazioni dei 700 anni dalla morte di Dante Alighieri (1265-1321) la lezione, anche economica, che si può desumere dalla Divina Commedia, rimane tuttora valida specialmente a seguito dell’evento pandemico che ha riacutizzato alcuni vizi capitali, in primis il peccato dell’usura. A causa della crisi pandemica, i ripetuti lock-down delle attività industriali, commerciali, artigiane, di servizi, i ritardi degli aiuti erogati dalla Stato e la loro inadeguatezza, l’esistenza nel nostro paese di molte attività di economia sommersa che, rientrando nella shadow economy, non hanno potuto beneficiare di alcuna forma di Welfare State, hanno spinto molti imprenditori formali ed informali, specialmente al Sud d’Italia, a cadere vittime degli usurai. Il rischio di una recrudescenza dell’usura ai tempi del Covid-19 richiede una rinnovata attenzione scientifica al fenomeno ed il rafforzamento di quell’insieme di politiche (di prevenzione, contrasto, solidarietà, educazione alla legalità ed al risparmio) che sono necessarie per combatterlo.
Tra le conseguenze della pandemia in corso, c’è anche il rischio che il processo di emancipazione femminile rallenti o si arresti nei casi peggiori, azzerando la libertà di scelta e di auto-determinazione. Nel Rapporto Iniziative per il rilancio “Italia 2020-2022”, trovano posto anche la Parità di genere e l’inclusione, per assicurare anche alle donne un posto nello sviluppo della vita economica e sociale. L’occasione di un cambiamento obbligato può così dar agio anche ad innovazioni sugli strumenti fare volti a realizzare “ottimi luoghi di lavoro” anche per le donne e per le madri, ad esempio estendendo le best practices identificate come virtuose nel Best Workplaces Italia 2020.
Certamente sarà necessario ancora molto lavoro in proposito perché, se la piena inclusione femminile è tanto auspicabile da essere presente nell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, la misurazione dell’avanzamento nel raggiungimento dei SDGs stessi mostra che, in media, i Paesi OCSE sono ancora lontani dagli obiettivi legati alle disuguaglianze (partecipazione e leadership femminile) e alla sicurezza (violenza contro le donne) e l’Italia ha raggiunto finora solo 12 dei 105 target previsti dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite secondo le rilevazioni OECD.
Ma la pandemia da COVID-19 ha anche stimolato riflessioni su come poter contrastare il processo di spopolamento che ha caratterizzato alcune realtà territoriali negli ultimi decenni, evidenziando ancora di più la necessità di effettuare investimenti in servizi e infrastrutture non solo fisiche ma anche virtuali. Si affronta il tema delle migrazioni qualificate all’interno del territorio italiano, con particolare riferimento agli spostamenti tra province e dalle province verso l’estero. All’interno dei confini nazionali la situazione è molto eterogenea, con province che presentano un saldo netto positivo di laureati, e altre con un bilancio negativo. La questione sta assumendo particolare rilevanza anche nell’attuale contesto di crisi, dove la valorizzazione del capitale umano viene sempre più spesso indicata come una delle azioni principali da affiancare agli investimenti in capitale fisico per favorire una crescita duratura.
Interessante è poi l’analisi sullo stato di attuazione della riforma del Terzo Settore e l’evidenziazione di alcuni punti di forza e di debolezza. Le nuove prescrizioni normative spingono l'operato degli Enti di Terzo Settore verso una serie di finalità legate alla produzione di ben-essere per le comunità ed i territori, alla creazione di reti sociali, al coinvolgimento attivo di lavoratori ed altri enti non profit, alla spinta verso l'innovazione produttiva e tecnologica. Obiettivi, questi, che sarà possibile perseguire fino infondo solo quando il processo di riforma sarà concretamente attuabile. Sono ancora tanti gli aspetti da perfezionare e nel PNRR si prevede l’accelerazione dell’attuazione della riforma del Terzo settore.
Uno degli argomenti più attuali e controversi nel dibattito sul Terzo Settore all’indomani della riforma del 2016/2017 è rappresentato dalla valutazione d’impatto sociale (VIS) ossia dall’analisi volta a misurare come e se un progetto sia in grado (o sia stato in grado) di rispondere alle problematiche, ai bisogni e alle opportunità che lo hanno generato. Dal punto di vista normativo, proprio grazie alla pubblicazione delle linee guida (DECRETO 23 luglio 2019), la VIS sta prendendo piede, ma numerose sono state le critiche. Si prova a offrire un’altra interpretazione delle linee-guida, più orientata a difendere la bontà della scelta del governo volta ad assecondare l’armonico e variegato sviluppo del terzo settore, attraverso l’adozione di meri criteri di massima in grado di adattarsi alle molteplici tipologie di attività svolte dagli ETS.
Un altro studio ha riguardato la possibile esistenza di una via mediterranea per l'Innovazione Sociale e l'imprenditoria sociale. Per verificare questo assunto sono stati selezionati dieci paesi mediterranei (Egitto, Giordania, Grecia, Kosovo, Libano, Marocco, Palestina, Serbia, Tunisia e Turchia) i cui principali attori della Social Innovation e dell'imprenditoria sociale hanno contribuito a una valutazione sullo stato dell'arte del fenomeno. L'Innovazione Sociale nel Mediterraneo rappresenta oggi un fenomeno emergente ma sicuramente poco diffuso, qualcosa di principalmente “importato” da altri contesti internazionali. In una fase successiva al non ancora completo radicamento dell'impresa sociale e dell'innovazione nei territori si apre la prospettiva di creare “ponti” e cogliere complementarità o sinergie tra territori e realtà locali diverse.
Soffermandosi sul tema del mediterraneo, un altro argomento attualissimo, è quello delle migrazioni. Si propone, nel numero, una rilettura dei fenomeni migratori nell’area mediterranea. Secondo l’UNHCR le morti nel Mediterraneo sono aumentate del 200%, passando dalle 149 del 2020 alle 503 vittime registrate nei soli primi cinque mesi del 2021. Al tempo stesso sono aumentati i respingimenti illegali, effettuati per conto della UE dalla sedicente Guardia Costiere libica. Nonostante questi numeri da brivido, dal 1° gennaio al 10 maggio di quest’anno sulle coste sicule sono sbarcate 12.894 persone (delle quali 1.373 minori) contro le 4.184 del medesimo periodo del 2020 e le 1.009 del 2019. Si afferma la necessità di una rilettura dei fenomeni che stanno alla base dell’immigrazione nell’area del Mediterraneo, come pure è indispensabile approfondire il ruolo dell’Unione Europea, visto e considerato che sono anni che parliamo di “emergenza sbarchi” e, almeno finora, nulla è cambiato.
Infine, vengono riportate alcune riflessioni su un tema molto importante, discusso anche nel PNRR, ovvero quello dell’housing sociale.
Lo sgretolarsi del modello familiare tradizionale porta con sé esigenze di nuove alleanze e solidarietà più trasversali, nonché nuovi criteri di sostenibilità: le famiglie tradizionali si disgregano e i singoli si riaggregano in molti modi diversi. Non è casuale che all’interno del mercato immobiliare prendano sempre più piede modelli residenziali “condivisi” rivolti a specifiche categorie di utenza, in particolare giovani e anziani ma anche “multigenerazionali”. L’accentuarsi dei profondi squilibri territoriali tra aree attraenti e altre che perdono popolazione è un secondo fattore rilevante nelle dinamiche demografiche, economiche e sociali, che incide sull’ evoluzione del mercato immobiliare.
Dalla lettura dei dati rilevati da vari istituti di ricerca si espongono le sfide che l’edilizia Residenziale Sociale si troverà ad affrontare nei prossimi anni in Italia. Inoltre, in conseguenza della grande esperienza che Fondazione Housing Sociale ha maturato in questi anni in qualità di advisor del FIA -operativo su tutto il territorio nazionale- vengono approfondite le motivazioni che hanno fatto sì che in Italia, il Sistema Integrato dei Fondi (SIF) abbia potuto sviluppare in questi anni molti più progetti di housing sociale al nord piuttosto che al centro o al sud.
Sulla scia del crescente interesse per le pratiche collaborative e di condivisione, anche in Italia hanno iniziato a diffondersi forme abitative collaborative, la più nota delle quali è il cohousing. Progetti che aprono nuovi scenari, soprattutto alla luce delle risorse che arriveranno dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Nell’ultimo decennio la diffusione dell’abitare collaborativo entro i confini nazionali è stata favorita soprattutto dall’azione di enti locali e non profit che sono ricorsi a questo modello per perseguire obiettivi di protezione sociale e di welfare abitativo. L’abitare collaborativo dà quindi luogo a un modello gestionale ibrido basato sul crescente coinvolgimento di enti non profit e cittadini, in cui i residenti non solo destinatari ma anche erogatori, gestori e consumatori e che supera quell’approccio – dominante negli scorsi decenni - che vedeva gli abitanti o come beneficiari passivi di alloggi sociali, o come consumatori. Si propone una narrazione ottimistica del fenomeno, ma si evidenziano anche gli ostacoli importanti da superare.
In conclusione, gli autorevoli contributi contenuti in questo numero ci aiutano a constatare che dall’amara esperienza innescata dal Covid-19 ci sono delle lezioni di cui dovremmo far tesoro nella gestione delle emergenze (effettive ed eventuali) ed in quest’ottica, all’economia sociale spetterà il compito di conferire dinamicità al concetto di sussidiarietà, e di promuovere una costruttiva concertazione con le imprese for profit e con la pubblica amministrazione, al fine di raggiungere comuni obiettivi di crescita e di sviluppo socio-economico.
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